Milano negli ultimi decenni sta vivendo una crescita esponenziale che sta velocemente portando al mutamento del suo skyline. A partire dal rapido sviluppo di Porta Garibaldi fino ad arrivare al quartiere CityLife ancora in costruzione, nuovi distretti della città metropolitana stanno prendendo il sopravvento attraverso apatiche torri vetrate. In questo contesto architettonico, però, un nuovo progetto ha da poco visto il suo completamento: Fondazione Prada. “Torre” Prada, l’ultimo pezzo del mosaico firmato OMA, è stato completato e punta ad essere un’architettura di frontiera in opposizione ai nuovi distretti. Un’architettura che ambisce a diventare faro per la sviluppo di un graduale processo di “gentrification”.
Se si prova per un attimo ad immaginare un edificio a torre probabilmente le prime associazioni che ci vengono in mente sono legate a panorami newyorkesi, dove scatolari oggetti di design si ergono snelli verso il cielo. Allo stesso modo, se si prova a pensare ad un museo la nostra concezione di spazio architettonico cambia e ci porta a concentrarci su una forma più bassa, con un’estensione lungo un asse orizzontale, all’interno del quale si scoprono vasti spazi espositivi.
Bene. A Milano da poco è sorto un nuovo edificio capace di annientare queste visioni retoriche. Un edificio che unisce lo sviluppo spaziale verticale, tipico degli edifici a torre, con gli echeggianti spazi espositivi tipici di un museo.
Torre Prada o anche solo “Torre”¹, come la definisce Koolhaas elevandola ad opera d’arte, è l’ultimo tassello dell’incredibile complesso di Fondazione Prada a Milano, opera del precitato Rem Koolhaas insieme a Chris van Duijin e Federico Pompiglioni dello studio OMA.
L’ultimo edificio dello studio olandese, inaugurato lo scorso mese in occasione della Design Week, va a completare dopo 3 anni dalla sua apertura una delle più emblematiche opere architettoniche che Milano abbia visto negli ultimi decenni. Tutto il complesso infatti, andando in controtendenza all’idea di trovare il proprio spazio nel cuore della city, si colloca nel quadrante meridionale della città addossato alla spianata dello scalo ferroviario di Porta Romana e più precisamente all’interno di un ex complesso industriale dove negli anni dieci dello scorso secolo sorgeva la distilleria della Società Italiana Spiriti. Una location quasi periferica, all’interno di un quartiere che sta maturando un timido fenomeno di gentrification.
La “Torre” si erge in maniera supponente su un angolo del complesso, quasi volesse ignorare gli edifici ed il contesto che la circonda. Arrivando dalla strada che costeggia l’ex scalo ferroviario si fa quasi fatica a capirne la geometria, che elevandosi per 60 metri sembra appoggiarsi a una stecca obliqua che ricade all’interno degli edifici retrostanti. Un volume spigoloso che esternamente alterna enormi vetrate a pareti in cemento bianco che si sviluppano su più livelli con altezze diverse. Il motivo di questo smarrimento, una volta entrati si palesa in maniera prepotente. La struttura si sviluppa infatti su 9 piani, che alternano piante rettangolari e trapezoidali, le cui altezze passano dai 2,7 metri del primo piano fino ad arrivare agli 8 metri dell’ultimo, tutto ciò al fine di “creare un’atmosfera più intima per alcune opere e un’altra di grandiosità per altre”². Al primo piano troviamo il guardaroba e i servizi igienici, salendo sono poi presenti 6 piani espositivi per un totale 2000 mq, un ristorante e un bar dotato di una terrazza a 360° su Milano. Entrati all’interno della torre si viene catapultati in una strana forma di postmodernismo alla Koolhaas dove il generico lessico con il quale si utilizzano i materiali e con cui si sviluppano gli ambienti viene negato a favore di una concezione tutta propria dell’opera architettonica. Il primo impatto con questa realtà lo si ha entrando nello spazio dove sono presenti guardaroba e servizi igienici. Questi due ambienti si costituiscono in un unico volume di forma rettangolare all’interno in un vasto spazio di forma trapezoidale irregolare. I materiali e lo sviluppo spaziale adottato sembrano quasi la volontà dello stesso Koolhaas di volersi impersonare artista, ricreando al pian terreno un’ulteriore sala espositiva per una sua personale opera d’arte.
La visita all’interno della torre può avvenire secondo due percorsi; o salendo le scale dal primo piano (anch’esse incredibili, per lo sviluppo a doppia rampa alternata) o dall’alto verso il basso, decidendo quindi di arrivare all’ultimo piano prendendo un singolare quanto voluminoso ascensore di 20 mq rivestito di onice rosa retroilluminato. Quest’ultimo, posto esternamente al volume dell’edificio, permette di godersi una lenta salita da cui è possibile ammirare il panorama milanese.
All’interno delle sale espositive si può ammirare l’esposizione permanente “ATLAS”, nata dal dialogo tra Miuccia Prada e Germano Celant, il cui titolo descrive l’idea di mappare lungo i sei piani espositivi della torre le visioni e le idee che hanno guidato la formazione della Collezione Prada. La collezione comprende opere realizzate tra il 1960 e il 2016 da svariati artisti quali Carla Accardi, Jeff Koons, Walter De Maria, Mona Hatoum, Edward Kienholz, Nancy Reddin Kienholz, Michael Heizer, Pino Pascali, William N. Copley, Damien Hirst, John Baldessari e Carsten Höller che vengono esposti in assoli o confronti in un susseguirsi di spazi. Sulla falsa riga di tutti gli altri edifici della Fondazione Prada, anche le sale espositive della torre presentano una ricercata scelta di materiali. Per la pavimentazione è stato fatto un ampio utilizzo di travertino mentre per le pareti, sia delle sale espositive che delle scale, si è optato per la singolare scelta di pannelli di legno a scaglie orientate. Altro elemento ricorrente su tutti i piani è la presenza di un’illuminazione a soffitto costituita da sottili strisce luminose che insieme alle ampie vetrate creano un riflesso a bande che si apre sullo skyline di Milano, come a voler in qualche modo riproporre l’andamento della linea ferroviaria sottostante la torre.
Non da meno è il ristorante sito al sesto piano, che pare anch’esso una sala espositiva allestita con elementi originali del “Four Seasons Restaurant” di New York progettato da Philip Johnson nel 1958, elementi dell’installazione “The Double Club” di Carsten Holler, tre sculture di Lucio Fontana e svariati dipinti d’autore.
La nuova Torre Prada, per la sua conformazione e gestione degli spazi, conferisce all’intero complesso un’aura di luogo di frontiera. Uno spazio incredibilmente mutevole studiato per essere permeabile all’inserimento di nuove opere. Un’architettura che non segue regole, né dal punto di vista di gestione degli ambienti né tanto meno per l’utilizzo dei materiali. Un “non spazio” che per sua natura e senza voler chiedere il permesso a nessuno, punta ad essere il più importante spazio espositivo di arte moderna e contemporanea di Milano.
¹ Sara Ricotta Voza, Alla Torre Prada come Alice nel Paese delle meraviglie, www.lastampa.it, ultima modifica 18/04/2018, data consultazione 27/04/2018.
² Mimmo Di Marzio, Ecco la torre di Prada: museo e ristorante in stile newyorchese, www.ilgiornale.it, ultima modifica 20/04/2018, data consultazione 27/04/2018.