Nell’ottica di un confronto tra tre architetti che hanno partecipato al concorso Blueprint, indetto dal Comune di Genova, è stato intervistato Franco Purini.
Franco Purini, architetto e teorico dell’architettura, è Professore Emerito presso l’Università La Sapienza di Roma, nonché membro dell’Accademia di San Luca. Attraverso i suoi scritti ha fortemente influenzato l’ambiente internazionale e ad oggi è uno dei più prolifici disegnatori italiani nell’ambito architettonico. I suoi disegni, elemento distintivo di Purini, sono conservati in svariate collezioni pubbliche e private, tra cui: gli Uffizi di Firenze, il Centre Pompidou e il Museo di Architettura di Francoforte.
L’intervista è stata concessa in seguito ad una conferenza tenuta dallo stesso Franco Purini negli spazi della Facoltà di Architettura di Genova, l’evento è stato promosso dalla Professoressa Giulia Pellegri.
Il progetto di Franco Purini, sviluppato insieme a Lorenzo Degli Esposti (Degli Esposti Architetti), vuole essere, come lo definisce lo stesso Purini: “una razionalità che si confronta con i luoghi e che contribuisce a costruirli e a continuarli ma che, soprattutto, deve produrre, come ricordava Le Corbusier, valori emozionali e spirituali”.
1 – Cosa ne pensa del Masterplan di Renzo Piano?
Se la vostra domanda riguarda il grande disegno noto come l’”Affresco” la mia risposta è ampiamente positiva. Il sistema unitario di interventi progettuali su Genova ideato da Renzo Piano è il frutto di una visione organica e avanzata del futuro della città. Si tratta di una previsione molto concreta e nello stesso tempo ideale di un centro urbano molto importante non solo per la Liguria ma per l’intero tale e per l’Europa che deve, come molte altre, trasformarsi radicalmente per affrontare una nuova fase della propria esistenza.
2 – Qual è la Sua opinione riguardo l’approccio e la gestione del concorso da parte dell’Amministrazione Comunale?
Se vi riferite al concorso di qualche anno fa per la sistemazione di una parte dell’area portuale ritengo che la formulazione del bando peccasse per un verso di una certa approssimazione, per l’altro fosse eccessivamente dettagliato nelle prescrizioni. Ciò impediva di comprendere nei suoi veri termini la domanda alla quale rispondere.
3 – Come si è posto nei confronti del progetto e come lo ha impostato?
La mia architettura è ispirata da una realtà non assiomatica né assolutistica e astratta. Potrei definirla una razionalità che si confronta con i luoghi e che contribuisce a costruirli e a continuarli ma che, soprattutto, deve produrre, come ricordava Le Corbusier, valori emozionali e spirituali.
4 – Quali sono state le problematiche che ha riscontrato durante la fase progettuale?
I problemi che si affrontano progettando riguardano sempre la ricerca di un equilibrio operante tra un’idea generale, che proviene da una interpretazione critica dell’architettura nella sua storia e la situazione del contesto nel quale la futura opera sorgerà. Un contesto che sarà profondamente modificato dal nuovo intervento. Come ho già detto l’architettura crea nuovi luoghi partendo da luoghi esistenti.
5 – Cosa ne pensa del risultato del concorso e del nuovo progetto “Waterfront di Levante” promosso da Renzo Piano?
Non c’è spazio in queste risposte per un’analisi attendibile di tali iniziative. Genova è una città talmente complessa nel suo essere centrale e insieme lineare da rendersi profondamente enigmatica, sia nella sua essenza sia nel suo futuro.
6 – Qual è la Sua visione di Genova per il futuro?
L’unica cosa che posso dire su un possibile futuro di Genova è che essa non dimentichi di essere caratterizzata da una straordinaria compresenza di varie epoche conviventi in un modo unico. In effetti a Genova i segni del passato, al contrario di Roma, hanno un ruolo determinante nell’immagine del nuovo, e non è un paradosso. Mi piacerebbe che la continuità e contiguità di segni relativi a stagioni urbane diverse e lontane che è un elemento fondativo della città siano ancora attive a lungo.
7 – Quando, come e perché ha deciso che l’Architettura sarebbe stata la Sua strada?
Avevo nove anni quando, al Quadraro, un quartiere di Roma molto periferico dove viveva la mia famiglia, iniziò la realizzazione del Quartiere Tuscolano di Saverio Muratori e Mario De Renzi. Ho assistito ai lavori da quel giorno fino all’inaugurazione del grande intervento abitativo, che nella luce di maggio, con i suoi colori, le forme nitide e la gioia degli abitanti, che prendevano possesso dei loro alloggi, mi fece capire il senso e la bellezza del mestiere dell’architetto.
8 – Ad oggi qual è la Sua definizione di Architettura?
“Il fine dell’architettura è quello di esprimere attraverso il suo fine secondo, il costruire, il senso dell’abitare dell’essere umano sulla terra“. Questa è la mia definizione di architettura contenuta nel libro “L’architettura didattica”, del 1980, che da allora a oggi accompagna il mio lavoro. Credo, come ho detto questa mattina nel corso del mio intervento – ringrazio ancora la professoressa Giulia Pellegri per il suo invito – che ogni architetto debba costruirsi una propria idea di che cosa sia l’arte del costruire.
9 – Quale consiglio vorrebbe dare ai futuri architetti?
L’ho detto nella lezione di questa mattina. Gli studenti dovrebbero chiedersi qual è la cosa che vorrebbero dire agli altri –una cosa sola- e poi chiedersi come comunicarla con l’architettura. In poche parole, senza un tema che ispiri la propria opera per tutta la vita, adattandosi ovviamente ai cambiamenti della realtà ma restando sempre se stesso, un architetto non riuscirebbe ad avere un ruolo significativo, ovvero non sarebbe in grado di migliorare l’abitare rendendo, come ha ricordato più volte Le Corbusier, gli esseri umani più felici.