Negli ultimi anni molte teorie architettoniche e studi urbanistici si sono focalizzati sul concetto di Smart City. Prima di analizzare il termine e le sue declinazioni storiche e di contesto, penso sia importante capire le necessità che hanno portato alla definizione di questa strategia di pianificazione.
Viviamo in un’era segnata da una profonda crisi in termini sociali, ambientali ed economici, da anni basiamo lo sviluppo della nostra società su modelli insostenibili, il risultato è evidente nella disorganizzazione di molte realtà urbane e nella diffusione di quartieri dove la qualità della vita è sotto i livelli accettabili. Il tentativo di migliorare e sanare queste situazioni, garantendo uno sviluppo uniforme e sostenibile, ha reso indispensabile la definizione di un nuovo modello di sviluppo declinabile a seconda del contesto di inserimento, che consideri non solo la città fisica ma anche il capitale sociale che essa contiene.
ghhjkl
Il termine Smart City nasce negli Stati Uniti con la finalità di definire un nuovo modello di sviluppo applicabile alle città ideali che si sarebbero dovute distinguere da quelle reali per l’alto livello di automazione, basato sullo scambio di informazioni e l’utilizzo delle nuove tecnologie.
La definizione Europea, introdotta nel 2010, integra a tale concetto l’idea di inclusività, dove l’utilizzo della tecnologia è strettamente connesso al capitale sociale, inteso secondo la definizione di Pierre Bourdieu come «somma delle risorse materiali o meno, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali»1.
In sostanza questa nuova enunciazione renderebbe la pianificazione urbana un tema aperto a tutti i cittadini, per essere più precisi a tutti gli utilizzatori della città garantendo un alto livello di partecipazione ed inclusività teso a migliorare la qualità della vita in un’integrazione tra ambiente, persone e tecnologie.
La Smart City andrebbe a configurarsi come una città interconnessa grazie all’utilizzo di nuove tecnologie dell’informazione; centrali nella programmazione sono i temi della mobilità e dell’efficienza energetica.
Partendo da questa definizione sarebbe interessante analizzare concretamente come questi nuovi paradigmi, ben attuabili in contesti moderni e metropolitani, siano effettivamente compatibili con le città storiche. Tutelare il patrimonio e rendere la città smart è possibile senza distruggerne la letteratura?
Quando si tratta di lavorare in contesti fortemente storicizzati non è così immediato seguire le linee guida suggerite dallo sviluppo intelligente, poiché trovare un equilibrio tra storico e contemporaneo non è così immediato, a maggior ragione se manteniamo prioritario il tema della tutela del patrimonio. Le città storiche, ricche di fascino ed arte, costituiscono un’ottima attrattiva per i turisti ma non sempre risultano essere performanti in termini di trasporti ed efficienza energetica. Quando si opera in questi luoghi, prima ancora dell’obiettivo finale, teso alla realizzazione di città intelligenti ed ecosostenibili, è necessario operare con la delicatezza di una piuma e la precisione di un chirurgo per implementare e migliorare il luogo evitando alterazioni brutali.
In questo periodo si tende alla verticalizzazione della città, l’innesto di grattacieli altamente tecnologici nel tessuto urbano sembra l’unica soluzione proposta da progetti visionari ed architetture biomimetiche che si adattano bene solo a luoghi dove il contesto di inserimento è scarno o inesistente.
La verticalizzazione è la soluzione anche per le città storiche?!
Con l’alibi dell’innovazione ultimamente vengono proposti progetti discutibili che tendono ad inserirsi con prepotenza nel contesto cittadino, snaturandolo anziché arricchirlo.
Le città storiche sono destinate a progetti come Acqualta 2060, progetto presentato per la Biennale dell’Architettura 2010 da JDS Architects per “salvare” Venezia dall’innalzamento del livello del mare, o ad altri come Paris 2050 (Vincent Callebaut Architects) per rendere la capitale europea “smart”?
Una cortina di grattacieli abbraccerebbe la laguna in una morsa moderna e performante riducendola ad una Minitalia da guardare dall’alto in basso.
Architetture biomimetiche invaderebbero le rue Parigine dominando la città, costretta ad inchinarsi ai piedi dei nuovi giganti.
Queste sono le proposte per salvare le città storiche?
L’Articolo 9 della Costituzione Italiana sostiene che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.»2.
I progetti sopra citati sono tutto fuorché promotori di cultura e tutelanti.
Indubbiamente le città storiche devono evolvere ed adattarsi alla realtà contemporanea, premessa necessaria per evitare che queste soccombano e vengano banalmente ridotte ad attrazioni turistiche per la classe borghese. La città deve continuare a vivere ed evolvere secondo il proprio corso senza forzature, in accordo con le proprie origini, i propri abitanti, la propria economia… solo questo può garantirne la conservazione. La salvaguardia del patrimonio storico è inscindibile dal suo adattamento ai modelli di vita contemporanei, tuttavia questo non deve legittimarci alla distruzione degli equilibri interni. Citando Renzo Piano: «Non saranno i grattacieli a rammendare le periferie», forse questi non salveranno nemmeno i centri storici, la chiave sta nella ricostruzione di una trama del vivere in cui la città e la cittadinanza ritrovino un dialogo.
Questo concetto, intrinseco nella definizione di Smart City, è chiaramente conciliabile e positivo per le realtà storiche.
Il tema della partecipazione dei cittadini, della riscrittura dei codici urbani, la componente relazionale e gestionale, può facilmente sovrapporsi ad un contesto storicizzato.
La falla in questa idea di partecipazione attiva insorge nel momento in cui i cittadini abbandonano le città.
Forse provocatorio, ma indubbiamente drammatico, è il caso più che attuale di Venezia, una città fisica e concreta che si sta spopolando per lasciare spazio al turismo. Non si tratta di un’utopia scritta da professori ma di una realtà che ha sempre funzionato con i propri canali, i mercati, i musei, le università… ora assediata, venduta, mercificata, per produrre qualcosa solo in termini di bilancio a discapito dei valori e delle persone.
Gli abitanti sono l’anima della città, definiscono le relazioni e l’essenza di un luogo, la componente invisibile che sta alla città come l’anima sta al corpo.
Questa considerazione credo sia Smart, come in ogni operazione serve misura e sensibilità, credo sia un onore e un dovere preservare la forma urbis dei luoghi legando il DNA della città al progetto che deve inserirsi in accordo con il contesto.
¹ Salvatore Settis, Se Venezia muore, Torino, Einaudi, 2014, pp. 107.
² Costituzione della Repubblica Italiana, Principi Fondamentali, Art. 9, 1948.
– Italo Calvino, Le città invisibili, Giuliano Einaudi Editore, Milano, 1972
– Gambino R., Il paesaggio tra conservazione e innovazione, in Linee nel Paesaggio Esplorazioni nei territori e della trasformazione, Utet, Torino, 1999.
– Holly Giermann, www.archdaily.com, ultima modifica 8/01/2015, data di consultazione 5/09/2019.