Accade spesso che l’enorme regione facente parte della Federazione Russia, la Siberia, venga rappresentata/immaginata come un luogo dell’incubo, una morsa di ghiaccio che non lascia scampo a chi vi si avventura, teatro di avvenimenti storici orribili, landa desolata preda della natura selvaggia e per questo motivo totalmente inadatta alla vita umana. Quanto volte ci è capitato di sentire il nome “Siberia” associato ad espressioni negative, legate principalmente alla sua fauna locale, o a goliardiche minacce di esilio. Questo ostracismo, questa diffidenza nei confronti di un territorio così lontano e, almeno all’apparenza così ostile, risulta da un lato perfettamente comprensibile. È la rappresentazione che nasce da una considerazione esterna delle sue condizioni climatiche, del suo retaggio storico di luogo di detenzione dell’Impero russo, ma anche dalla scarsità di informazioni trasmesse dai media nostrani e dalla stessa Russia.
Quest’ultima si dimostra infatti sempre ermetica nei confronti di un Occidente con il quale non può non instaurare un rapporto problematico, dato il suo essere costantemente scissa tra due identità che difficilmente riesce a conciliare: quella occidentale, fortemente voluta da Pietro il Grande, e quella orientale incarnata proprio dalla Siberia.
Dall’altro lato, è comunque necessario riflettere in maniera più approfondita sulle motivazioni che hanno portato a una tale rappresentazione. Come dicevamo, si tratta perlopiù di un’immagine stereotipata, che in un certo senso ha congelato l’idea di Siberia presente all’interno dell’immaginario collettivo, provocando quella che in questa sede chiameremo una “distorsione identitaria”. Mi permetto di fare una breve digressione a riguardo: si tratta di un fenomeno piuttosto diffuso in un’epoca come la nostra, in cui l’informazione viaggia e ci perviene alla velocità della luce, ma che nonostante tutto risulta comunque filtrata attraverso una personalità terza (ovvero colui che per primo la riceve dalla fonte) e non necessariamente legata a ciò che viene trasmesso. L’informazione è doppiamente filtrata: prima attraverso un individuo esterno al contesto d’origine del contenuto, poi mediante la lingua di quest’ultimo, che durante il passaggio, nonostante l’ipotetica bontà della traduzione che ne viene fatta, ne snatura comunque in parte il contenuto. Questo processo di rielaborazione investe anche l’individuo che riceve tale informazione, dato che la sua esperienza e la sua cognizione di quel determinato concetto/immagine vengono modellate in base alla ricezione di altre informazioni sottoposte allo stesso setaccio, rendendo questo meccanismo socioculturale perfettamente autosufficiente e performante. L’essere umano, per sua natura, ha bisogno di sentirsi al sicuro, di avere un controllo sul mondo che lo circonda, di attribuirgli un senso. Se, per esempio, una persona ha sempre sentito parlare della Siberia come di un luogo orribile, e il tipo di informazione che gli perviene a questo riguardo conferma tale visione, allora sarà più incline ad accettarla, poiché coincide con l’idea che già si aveva, fornendo una confortante conferma.
Matteo Annecchiarico, Moschea bianca, 2019.
Quello del “filtraggio” delle identità culturali è un argomento di cui si discute molto nell’ambito degli studi culturali, della traduttologia e dell’antropologia, discipline votate allo studio e alla salvaguardia delle diversità che nell’ultimo periodo si ritrovano sempre più intrecciate fra loro, data la rilevanza acquisita da questo concetto nella comprensione e nello studio del mondo contemporaneo. Una realtà in cui il retaggio post-coloniale e la comparsa di nuovi flussi migratori stanno rendendo le culture sempre più ibride, meticce, in opposizione all’idea sclerotizzata e univoca di nazione “pura”, la quale spesso adopera la distorsione per plasmare a proprio vantaggio l’immagine dell’Altro culturale, in modo da effettuare fittizie divisioni gerarchiche congeniali al mantenimento della propria egemonia. La questione si complica nel momento in cui ci si rende conto (o almeno è quello che siamo indotti a credere) dell’esistenza di “culture maggiori”, in grado di compiere tali operazioni, e “culture minori”, intendendo rispettivamente le nazioni economicamente più influenti e (spesso) con un passato imperialista, e le realtà più “piccole”, spesso soggette al giogo delle prime.
Matteo Annecchiarico, Moskovskij trakt – dormitorio dell’Università Statale di Tomsk (TGU), 2019.
Anche la Siberia, nonostante le sue dimensioni possano trarre in inganno, è una realtà piccola che nel corso delle epoche è stata sottoposta al dominio di diverse culture: una terra che storicamente è stata abitata da popolazioni provenienti dall’Est, come quella mongola e quella turca, la cui egemonia venne meno dopo la definitiva sconfitta della cosiddetta “Orda d’oro” nel 1500, segnando la fine del dominio tataro-mongolo sulle terre russe e l’inizio per quest’ultime di un periodo di crescente unità. La scomparsa della minaccia orientale diede la possibilità alla Russia di cominciare la propria espansione verso Oriente, a partire dal 1583 con la prima spedizione capitanata dall’atamano Ermak Timofeevič, il quale farà poi dono dei territori siberiani conquistati allo zar Ivan IV, inaugurando un processo di colonizzazione che si protrarrà fino al XIX secolo. Le varie popolazioni native nomadi e semi-nomadi (come gli jakuti, i čiučki, o i samoedy) saranno progressivamente assoggettate e integrate da coloni russi, creando a seguito dei primi matrimoni misti una realtà sociale estremamente eterogenea, ma comunque soggetta alla sfera d’influenza dell’Impero russo. Questa realtà verrà ulteriormente arricchita, paradossalmente, anche dall’impiego della Siberia in quanto luogo di prigionia destinato all’esilio di dissidenti politici e dalla fondazione dei campi detentivi GULAG durante il periodo sovietico, rendendola sede di diverse personalità ostili alla Russia. Quest’ultime alimenteranno un contesto culturale carico di idee rivoluzionarie, innescando in molti popoli siberiani la consapevolezza di una propria specificità nazionale (la Jakuzia, un’enorme regione della Siberia nord-orientale, fu ad esempio colonia penale prima per i prigionieri polacchi, poi per i rivoltosi decabristi, ponendo le basi per la nascita di un movimento nazionalista jakuto¹).
Matteo Annecchiarico, Chiesa del Santo principe Aleksandr Nevskij, 2019.
Quello esposto finora è già di per sé un quadro storico-culturale senza dubbio complesso, ma proprio per questo ricco di possibilità conoscitive, dato che con il suo carattere ibrido, la Siberia è in grado di dischiudere preziose informazioni per quel che riguarda il concetto di identità culturale, e l’incontro e il dialogo fra due o più di esse. È ben lontana, dunque, dall’essere una distesa di neve in cui gli orsi hanno preso il posto dell’uomo in quanto razza dominante!
Questa ibridazione culturale trova una propria espressione e concretizzazione armonica anche nella produzione artistica originata in queste terre, compresa quella architettonica (si tratta pur sempre di una rivista di architettura). Lo scenario urbano siberiano si presenta a sua volta come molto eterogeneo: accanto alle scintillanti cupole delle chiese ortodosse e delle moschee troneggiano cupi edifici di cemento, retaggio dell’epoca sovietica, mentre all’ombra di quest’ultimi si alternano fatiscenti baracche di legno e altre costruzioni, dello stesso materiale, ma decisamente più elaborate e d’impatto, frutto della sopramenzionata ibridazione culturale. Vorrei soffermare l’attenzione proprio su quest’ultime e, in particolare, su quelle costruite nella città di Tomsk.
Matteo Annecchiarico, Finestra siberiana, 2019.
L’architettura in legno siberiana affonda le sue radici nelle abitazioni contadine tradizionali delle case quadrate con una struttura di tronchi di legno, ma viene ulteriormente sviluppata nel corso del XIX secolo grazie all’influenza dello stile architettonico classicista, basato sulla semplicità e sulla geometricità delle forme. Gli architetti cominciano a trarre ispirazione dall’eleganza delle costruzioni antiche, tentando di imitare con il legno la monumentalità degli edifici in pietra. Da qui la presenza delle colonne, rimandanti alle strutture dell’antica Grecia. Lo stadio successivo dell’evoluzione dell’architettura in legno all’inizio del XX secolo è legato invece a delle esigenze patriottiche, nate principalmente dalla necessità della classe borghese sviluppatasi in queste terre di rivendicare una propria identità. Principali fautori di quello che è conosciuto come “movimento regionalista siberiano” furono personalità come Grigorij Potanin, Nikolaj Jadrincev e Andrej Adrianov, intellettuali il cui scopo era quello di rendere la Siberia economicamente e politicamente indipendente dalla Russia. Il diffondersi delle idee di questo movimento portò l’intelligencija locale allo studio tanto della storia, quanto delle tradizioni e dell’arte delle popolazioni siberiane native.
Maria Filosa, Casa in legno siberiana 1, 2020.
In un suo articolo, comparso sulla rivista “Sibirskaja žizn’”(Vita siberiana) della città di Tomsk, intitolato “Lo stile siberiano nell’arte applicata”², il pittore Michail Ščeglov critica lo stile architettonico locale, considerandolo estraneo a quella che avrebbe dovuto essere l’estetica siberiana. Ščeglov afferma poi che l’architettura della Siberia, in quanto espressione del profondo Nord, sarebbe riuscita a convivere in perfetta armonia con quella russa, date le somiglianze esistenti fra il suo paesaggio naturale e quello della Russia settentrionale.
La ricerca di un’identità siberiana che fosse il prodotto armonico di due anime, quella orientale e quella russa, ebbe diversi e interessanti esiti, in particolare per quel che riguarda l’aspetto decorativo di questi edifici, il quale denota una maniacale attenzione per i dettagli e per la ricercatezza simbolico-cromatica. Le finestre sono spesso ornate da eleganti motivi curvi formi, arabeschi di ascendenza barocca che rimandano sia alla struttura delle foglie delle conifere, simbolo del paesaggio invernale, sia all’acqua elemento naturale carico di valenze folkloriche, così come il sole rappresentato con un rosone intagliato nel legno. Il colore delle facciate tende di frequente all’azzurro o al blu, al verde o al marrone chiaro, scelta anche questa dettata dalla volontà di omaggiare lo scenario siberiano, e al tempo stesso forse anche di creare una perfetta sintesi fra paesaggio umano e paesaggio naturale, attraverso un processo di mimesi per cui gli edifici stessi appaiono come un’estensione della natura siberiana. Molto spesso, oltre agli elementi della flora, vengono rappresentati anche animali appartenenti sia alla fauna locale, sia al folklore russo, come ad esempio l’uccello di fuoco. Anche le forme geometriche abbondano, e non di rado, le si trova fuse insieme alle altre figure; altre decorazioni ancora rimandano invece agli ornamenti tradizionali delle popolazioni native della Siberia, tramite dettagli finemente intagliati per ricordare stile, forme e motivi del vestiario orientale. Anche la scelta del materiale di costruzione, il legno, consegue alla realizzazione di questa strategia culturale, volta a rafforzare la tradizione attraverso l’innovazione, senza snaturarne il carattere. Gli architetti siberiani dunque prediligevano il legno per il suo essere materiale tradizionalmente impiegato nelle costruzioni della regione, ma anche per ragioni economiche e di impatto ambientale.
Maria Filosa, Casa in legno siberiana 2, 2020.
Mi fermo qui con le mie considerazioni su queste architetture, dato che non ho le competenze necessarie per svolgere un’analisi più approfondita. Quello che volevo dimostrare è che, nonostante il nostro finora sia stato un attraversamento rapido e abbastanza superficiale, che non rende affatto giustizia all’argomento trattato, quello che ci si presenta davanti agli occhi è comunque un quadro ricco di suggestioni, uno spazio storico, artistico, culturale di grande interesse e originalità, per quel che riguarda diversi campi del sapere, fra cui anche quello dell’architettura.
Questa bellezza viene tuttavia offuscata dalla distorsione che viene fatta della sua identità, la quale si ritrova celata fra i ghiacci della rappresentazione distorta, della paura del diverso, della concezione statica dell’identità. Anche sulla base delle considerazioni emerse finora, l’identità risulta invece essere un’entità fluida, suscettibile al cambiamento e agli stimoli esterni. L’identità nasce dal rapporto che si instaura con l’altro; basti pensare alle prime fasi della crescita dell’individuo, e di quanto sia forte l’influenza esercitata dall’esempio delle figure genitoriali, o dall’ambiente circostante. La storia della cultura e delle arti è strettamente legata allo scambio interculturale, all’ispirazione reciproca generatrice di nuovi stimoli, immagini, idee. La Siberia, con il suo crocevia di popoli e culture diverse, incarna proprio questa idea di identità mutevole, luogo d’incontro di realtà agli antipodi, che attraverso un’organica sintesi si sono fuse assieme per creare qualcosa di nuovo, senza snaturare il materiale originale: lo spirito di entrambe le realtà viene preservato e, semmai, arricchito dallo sguardo dell’altro. Un esempio di convivenza pacifica fra Oriente e Occidente, due macro-mondi culturali all’apparenza inconciliabili, che offre diversi spunti di riflessione su alcuni dei problemi chiave della nostra epoca quali, appunto, l’identità (qualsiasi essa sia), l’integrazione, la solidarietà, e la lotta alla xenofobia. Lunga vita agli impuri!
Copertina: Matteo Annechiarico, Paesaggio siberiano, 2019.
¹ Lia Zola, Il commercio degli spiriti: forme di sciamanesimo contemporaneo nella Repubblica di Sacha (Jacuzia), Aracne, Roma, 2008, p. 25.
² Michail Ščeglov, Sibirskij stil v prekladnom izkusstve, in: “Sibirskaja žizn’”, 1912, n°4, 5 gennaio.
– Griziotti-Kretschmann J., La colonizzazione della Siberia: cenni storici e legislativi in: Giornale degli economisti e rivista di statistica, N°6, 1913.
– Nergaard S., Tradurre le culture. Rappresentazione dell’altro e costruzione del sé, in C. Demaria e S. Nergaard, Studi culturali. Temi e prospettive a confronto, McGraw-Hill, Roma, 2008.
– Semionov J. N., Storia della Siberia: la lunga conquista, Odoya, Bologna, 2010.
– Zalesov V., Sibirskij stil’ v architekture Tomska, in: “Sibirskaja starina”, 1999, n°16.
– Zola L., Il commercio degli spiriti: forme di sciamanesimo contemporaneo di Sacha (Jacuzia), Aracne, Roma, 2008.
– Lezione online sull’architettura in legno della città di Tomsk: Coursera.