Le città: leggerle e rileggerle, pensarle, guardarle durante le loro trasformazioni, cercare di recepire quanto possano essere resilienti. Le città sono costantemente nel dibattito scientifico e non, un dibattito che in questo nostro contemporaneo segna il passo e seguita a ruotare attorno alle forme di ibridismo che si manifestano.
È un dibattito che staziona sugli elementi linguistici o culturali di diversa provenienza o natura, sulle eterocromie dettate dagli sviluppi assunti ed espressi rispetto al passato, per concludersi inevitabilmente sui non luoghi: quelle malefiche scelte di insediamenti urbani incapaci di integrarsi nei luoghi storici, ma persino in sé stessi. In questo marasma giovi sapere che comunque l’identità territoriale seguita ad essere oggetto di attenzione, di salvaguardia di quella cultura del farsi della città che ci appartiene. Viene citata nei documenti, negli accordi di programma e nei discorsi che riguardano l’organizzazione, la gestione e la valorizzazione dei territori. È un segnale, è un buon segnale, perché il dispiegamento di una serie di processi trasformativi estremamente forti stanno cambiando radicalmente il volto delle nostre città, particolarmente radicate nella propria identità storica e culturale. Tra le prime, ad esempio, basti ricordare i grandi interventi in zona Garibaldi a Milano. I problemi legati all’identità esplodono proprio in quei contesti urbani dove “si perde l’identità”. Se, da una parte, è vero che questa è sempre più una “società senza memoria” o che progetta senza memoria, dall’altra è anche vero che i problemi si pongono nel momento in cui si trasforma l’identità in un insieme che vive di vita propria, in cui si reifica l’identità, estraendola ed astraendola dal processo che la determina. L’identità è il prodotto di una narrazione urbana continua. L’identificazione delle identità è un sano esercizio, a cui non si dovrebbe mai smettere di approcciare, soprattutto per chi si occupa di urbanistica e di destino delle città, e che potrebbe magari dar vita ad un processo che sancisca la salvaguardia di molte espressioni che danno connotazione al paese Italia.
Legandoci al primo numero di AGORÀ magazine, il quale trattava le trasformazioni urbane che stavano prendendo piede nelle città di Milano e di Genova nel 2018, vengono proposte nelle pagine successive alcune immagini che vogliono essere proiezione contemporanea dello stato di fatto di questi luoghi. Due “città ideali” che gli autori di questo testo hanno interpretato cercando di cogliere l’identità, trasformata o immutata, di questi due differenti panorami italiani. Due città drasticamente diverse che mostrano differenti risposte allo stimolo delle trasformazioni urbane, sintomo anch’esso di quella capacità locale di sapere conservare o mutare la propria immagine.
Da una parte vi è Milano, che negli ultimi anni ha confermato la sua volontà di voler assorbire quegli stimoli d’oltralpe che ormai poco hanno a che fare con i caratteri tipici di quel moderno milanese che nel XX secolo aveva irradiato la città lombarda. Emblematici rimangono gli ultimi grandi interventi urbani di Porta Nuova e CIty Life, i quali continuano un loro sviluppo ininterrotto e asettico rispetto a ciò che li circonda. Tasselli di un puzzle che combaciano tra di loro, ma che allo stesso tempo risultano estranei al tessuto della città. La grande sfida dei prossimi decenni, che confermerà o smentirà l’immagine di arcipelago urbano costituito da piccole isole in un più vasto mare antropico, sarà determinata dallo sfruttamento degli ex scali ferroviari: la grande scommessa su cui si baserà la nuova immagine del capoluogo lombardo.
Il contraltare al veloce sviluppo meneghino è possibile ritrovarlo al di là di quel mare verde costituito dalla pianura padana, un intermezzo discreto e rurale che connette la capitale finanziaria italiana con i confini del capoluogo ligure. Resiliente e cristallizzata in quell’immagine di città industriale, Genova, più di Milano, è un conglomerato di momenti che si addensano tra loro e di cui si ha una vista privilegiata percorrendo la sopraelevata Aldo Moro. Genova è schiva, diffidente nei confronti dei grandi cambiamenti, la sua identità la difende gelosamente. I mutamenti li accetta, ma a piccole dosi, lentamente e uno alla volta. Negli ultimi decenni Genova ha avuto più volte la possibilità di rinnovarsi, si pensi per esempio al progetto per Ponte Parodi, il cui concorso fu bandito nel 2001, o alla grande visione di Piano arenatasi nel deludente concorso del Blueprint. Oggi si è tornati a parlare di queste grandi trasformazioni. Il progetto dell’architetto genovese sta prendendo forma, se pur sotto altre vesti, e il progetto per il grande parco al di sotto del nuovo Ponte San Giorgio lascia presagire la volontà di questa città di volersi aprire a nuovi grandi interventi urbani, portati avanti nel geloso rispetto di un’identità locale che non deve essere alterata.
Jessica Borriello, Milano, Milano, 2021.
Duccio Prassoli, Genova, Milano, 2021.
Copertina: Jessica Boriello, Milano-Genova, Milano, 2021.