L’identità come un percorso in continua evoluzione tra formazione innata e stimoli esterni. Un interrogativo sulla costituzione dell’identità dell’individuo e il suo spazio nel mondo.
La parola “identità” è solita associarsi alle caratteristiche che descrivono una persona o un gruppo di persone, a partire dal proprio nome, le proprie peculiarità, l’aspetto, la nazionalità… Viene spontaneo definirla come qualcosa di presente nell’individuo ma non innata, l’uomo è solito crescere e sviluppare la propria identità, attraverso lunghi periodi di tempo che gli consentono di mutare e trasformarsi. Questo lasso di tempo consente all’individuo di seguire una strada per poi cambiarne la direzione e iniziare a definire sé stesso in base alle sue esperienze e ai suoi interessi.
Generalmente il soggetto nasce in un determinato contesto familiare che da subito ne condiziona il carattere. A seconda dell’apertura verso l’esterno del contesto in cui vive, l’individuo assumerà un determinato modo di essere. Durante la crescita questo gli consentirà di approcciarsi a gruppi di persone non omogenee e differenti da esso che a loro volta contribuiranno a perfezionarne la personalità fino a quando sarà lui stesso a individuare le figure nelle quali più si rappresenta, discostandosi da quelle che meno lo stimolano e interessano. In questo modo è inevitabile che in ambienti come la scuola si formino gruppi più ristretti di persone accomunate dal modo di agire e quindi affini anche nel modo di pensare. Ci si ritrova, infatti, in una fase della vita di sperimentazione, frenata dall’insicurezza adolescenziale, che avrà più facile espressione in età matura, prendendo conoscenza del proprio io. Il costrutto più vicino al termine “identità” in psicologia risulta essere la “personalità”. Lo sviluppo di questa, secondo lo psicologo tedesco Erik Eriksson¹, si elabora attraverso tutto il ciclo di vita di un uomo, il quale procede per più stadi di avanzamento e affronta molteplici conflitti interiori.
Autore anonimo, La creazione di Adamo ed Eva.
Uno di questi stadi viene vissuto in età adolescenziale e si manifesta come “identità/confusione di identità”, i ragazzi definiscono sé stessi attraverso il confronto con i propri pari. Al di fuori dell’ambiente familiare hanno la possibilità di analizzarsi e sperimentarsi in ruoli diversi.
L’uomo viene definito da Aristotele nel suo “Τά πολιτικά”² un “animale sociale”. Senza il confronto le personalità risulterebbero limitate e la mancanza di comunicazione tra individui priverebbe gli stessi della possibilità di arricchirsi interiormente riducendone la capacità di scelta.
Di questi tempi, a causa della pandemia, il contatto tra individui è stato drasticamente limitato. Le frequentazioni e i confronti hanno subito un arresto, come se il treno su cui avanziamo quotidianamente nella vita avesse deciso di rifiutare nuovi passeggeri e avesse arrestato lo sviluppo dato da stimoli esterni rafforzando obbligatoriamente quelli preesistenti. Durante la quarantena in mancanza di nuove conoscenze abbiamo ripreso i contatti con persone con le quali non parlavamo da tempo, riempiendo i vuoti dati da esperienze di vita non condivise.
Seppur è complicato classificare le identità quando queste vanno ad amalgamarsi tra loro, ognuno manifesterà una visione sempre differente dello stesso concetto. Nel modo di esprimersi risiede il passato, il presente e anche il futuro di un individuo, per cui anche raccogliendo un gruppo di persone nella loro medesima scelta di studio, ognuno sarà stato influenzato a priori dagli incontri e le esperienze precedenti e continuerà a farlo attraverso quelli futuri.
Per l’individuo appartenere a un gruppo è fondamentale. Raramente si è d’accordo indistintamente con tutti. L’ “appartenere” rende l’uomo più sicuro delle proprie scelte. Tutto questo è stato sperimentato dagli studi dello psicologo Herni Tajfel³ quando ha postulato la Teoria dell’Identità Sociale secondo cui la semplice “appartenenza” influenza la condotta dell’individuo a favore di un gruppo e a sfavore di quello “avverso”. Per esempio nel romanzo “Il testamento francese”, di Andrei Makine⁴, il protagonista, adottato da una donna francese, manifesterà un forte attaccamento al suo paese di adozione nonostante geneticamente non possegga nulla di quel luogo. Questo fenomeno sorprenderà lo stesso protagonista quando verrà a conoscenza della sua vera origine, sconosciuta a lui fino alla morte della madre adottiva.
Claudia Habib, Identità riflessa, Roma, 2020.
Per tanto nella personalità persiste qualcosa di congenito?
Lo psichiatra austriaco Peter B. Neubauer⁵, collaboratore dell’associazione “Jewish board of Guardians”, ha effettuato un esperimento durante gli anni ’70 in America su gruppi di gemelli separati alla nascita e inseriti in contesti familiari differenti. Ne è risultato che tre di essi⁶, quando per un caso fortuito si sono rincontrati nel periodo universitario, hanno sviluppato uno strano fenomeno per cui geneticamente reagivano e si muovevano allo stesso modo nello spazio nonostante fossero cresciuti come perfetti sconosciuti in ambienti differenti e con stimoli esterni diversi. Questo stabilisce come sia necessario distinguere l’identità genetica che agisce in parte negli individui senza che questi possano condizionarla e un’identità empirica a lungo termine con acquisizione giornaliera. Si riconosce, pertanto, che l’identità di una persona è formata da doni ereditari, ambiente familiare, ambiente scolare ed esperienze esterne.
A lungo termine l’identità risulta fondamentale per un individuo che avrà la facoltà di inserirsi in un gruppo di persone e partecipare a una vita collettiva. Il fatto di essere in un gruppo gli darà sicurezza e convinzione delle proprie scelte, rafforzando la convinzione di non essere solo nell’attuarle. Questo gli permetterà di rafforzare la propria personalità con quella sicurezza e autostima che gli sarà di stimolo nella vita. Quando un popolo, ad esempio, subisce delle forti influenze politiche ed economiche esterne, tende a essere più facilmente soggetto a dimenticare la propria identità. In questo caso i popoli esposti ai soprusi di altri rischiano la perdita di un’identità che in passato risultava forte e unica, ovvero l’identità che comprende le tradizioni, la storia, il modo di vivere e il credo religioso.
Giovanna Gavotti, Comunità religiosa congolese, Roma, 2021.
Nella storia abbiamo esempi di sopraffazioni perpetrate, sempre per motivi politici/economici da stati più grandi per forza e importanza con l’inserimento della loro influenza commerciale, su identità più piccole a discapito dei valori tradizionali di queste ultime. L’identità dei popoli è da sempre stata minacciata, e oggi più che mai, dalle diaspore causate dalle guerre e dalle difficoltà economiche che caratterizzano i nostri giorni.
Chi parte dal proprio paese, quando fugge da situazioni problematiche, si ritrova spesso costretto a seguire le vie dell’illegalità e del pericolo, come nel caso di coloro che intraprendono l’immigrazione via mare, finendo per perdere la vita in acqua ed essere poi ritrovati irriconoscibili e privi di un’identità, come ci racconta Cristina Cattaneo nel suo libro “Naufraghi senza volto”⁷ quando descrive il ritrovamento dei corpi e il tentativo di un medico legale di dare un nome a ogni vittima. Un lavoro prolungatosi nel tempo, nato dopo la prima grande catastrofe del naufragio di Lampedusa il 3 ottobre 2013, al fine di contattare i familiari delle vittime e ricostruire le identità dei morti. Questo impegno è continuato con una qualità di mezzi migliore quando è stata affrontata la seconda catastrofe, avvenuta a largo delle coste libiche il 18 aprile 2015 con il rovesciamento di un peschereccio. Il gruppo di ricerca si è proposto di analizzare i corpi, recuperati dalla Marina Militare Italiana e ricavarne quante più possibili informazioni dal Dna e dagli effetti personali. Alcuni di questi uomini partivano dal loro paese e si portavano cucita nella maglietta un po’ di terra, per ricordare le proprie origini. Anche questi piccoli dettagli sono stati rilevanti per continuare le analisi. Ma la seconda parte dello studio, relativa alle informazioni raccolte da possibili conoscenti, è stata fondamentale: parenti e amici hanno potuto rispondere all’appello e recarsi direttamente a Milano o Roma dove poi sono avvenuti i confronti. Hanno portato con sé fotografie, ciocche di capelli di parenti, lettere e tutto ciò che potesse agevolare il riconoscimento. Tramite un confronto incrociato tra questi indizi e i resti dei deceduti è stato possibile verificare l’identità di alcuni di essi.
Giovanna Gavotti, L’ingannevole calma del mare, Albissola, 2020.
Ne concludiamo che sia l’identità “genetica” che quella “culturale” sono necessarie per la formazione di un individuo. Non può esserci lo sviluppo di un uomo senza una delle due identità, perché corrispondono a un unico elemento. Tutti nascono con un Dna e tutti vengono, per forza di cose, influenzati da stimoli esterni.
L’uomo lavora allo sviluppo della propria personalità dall’infanzia alla vecchiaia, acquisisce caratteristiche proprie e distinte dagli altri ma non perde, anzi deve rafforzare, la sua relazione con la società e il collettivo.
L’identità assume il compito di distinguere ognuno di noi in una vita di collaborazione continua. L’unicità, seppur composta da ingannevoli individualismi, si ha solo nella collettività anche se si pensa di essere “unici”.
Copertina: Identità Impressa, Milano, 2021, per gentile concessione di un autore anonimo.
¹ E. Eriksson, Infanzia e Società, 18°, Roma, Armando Editore, 2000.
² A cura di Renato Laurenti, Aristotele, Politica, 14°, Roma-Bari, Laterza, 2007.
³ E. Tajfel, Gruppi umani e categorie sociali, Bologna, Il Mulino, 1999.
⁴ A. Makine, Le testament français, Parigi, Mercure de France, 1995.
⁵ P. Neubauer, Nature’s Trumbprint: The New Genetic of Personality, NY, Columbia university press, 1996.
⁶ T. Wardle, Three identical strangers, Gran Bretagna, 2018.
⁷ C. Catteneo, Naufraghi senza volto, Milano, Raffaelo Cortina Editore, 2018.