L’identità personale è spesso intesa come qualcosa di determinato, di definito in sé; da ricercare in noi stessi o nell’altro, una conquista da ottenere perchè non sia più destinata a mutare.
L’IO del singolo si manifesta nell’ES, la sua esteriorizzazione. Dal punto di vista Freudiano l’IO rappresenta l’essenza della persona che si plasma nell’incontro con il mondo esterno diventando l’ES in un rapporto dinamico di influenza reciproca tra ciò che siamo nell’inconscio e ciò che diventiamo incontrando l’alterità ovvero l’opposto dell’identità, il non-io e quindi il mondo esterno.
In che modo chi ha il potere di plasmare i luoghi e la cultura di un popolo ha la possibilità di influenzare l’identità del singolo? Cosa ci modifica realmente? Cosa ha più valore? Saremmo uguali a noi stessi se l’ambiente attorno a noi fosse diverso? Qualsiasi cosa con cui entriamo in contatto ci condiziona, ci contamina, ci definisce; il nostro io è davvero l’essenza a cui aspirare o è solo il punto di partenza destinato a diluirsi e perdersi in ciò che ci circonda?
Per introdurre una riflessione sul tema dell’identità personale credo sia interessante capire come questa si sviluppa nelle varie fasi di crescita dell’individuo, dal bambino all’adulto.
Il bambino alla nascita non è in grado di percepire nulla fuori da sé, antropologicamente la fase del neonato è definita come egocentrata; il neonato non riesce a percepire il mondo oltre sé stesso, i suoi bisogni primari e il suo istinto di sopravvivenza sono l’unica cosa che conosce e che lo definisce.
Nel rapporto con il prossimo troviamo il punto di svolta, inizia ad esserci uno scambio di informazioni che vanno a costruire l’identità del singolo, caratteristiche che andranno a definirlo come individuo per il resto della sua esistenza.
Secondo questa prima analisi emerge come la definizione della propria identità non sia solo un fatto di autodeterminazione ma anzi il risultato della contaminazione tra il nostro modo istintivo di essere e la sua espressione nel luogo in cui cresciamo che si sviluppa anche in funzione degli stimoli culturali che si riceviamo nel corso della vita.
Stefan Gunnesch, Counting the hour we wait (#3), 2019.
L’opera proposta in copertina e le immagini a corredo del testo sono state realizzata dall’artista Tedesco Stefan Gunnesh e potrebbero essere uno spunto ulteriore per riflettere sul tema.
Stefan Gunnesch , Zeit Geist (#1), 2019.
Quei volti irriconoscibili strappati e ricomposti, quasi dilaniati ma che non smettono di affascinare ed incuriosire reinventano la figura umana, sottolineando come nulla sia eterno e tutto sia già sorpassato nel momento stesso in cui è compiuto. L’artista cristallizza l’attimo effimero in uno scatto fotografico che si dissolve tra frammenti di altre immagini in una sovrapposizione di layer diversi. La pittura e i ritagli prendono possesso dell’immagine di partenza creando qualcosa di nuovo e inaspettato con l’obiettivo di provocare emozioni e ricordi definendo la nuova identità del soggetto, un’identità nascosta come dal titolo della sua mostra.
Stefan Gunnesch, Until Last Word is Lost, 2019.
Concettualmente la mia mente collega i dipinti dell’ultimo periodo di Francis Bacon in particolare i suoi autoritratti dove il volto perde la propria armonia come se sfumasse nei colpi di pennello, come l’anima che esce dal corpo dilaniandone i contorni in bilico tra cubismo e futurismo.
Francis Bacon, Autoritratto, 1971.
Nelle opere di Gunnesh l’equilibrio raggiunto non racconta il dramma di un un’anima in fuga ma sembra quasi dare un senso scultoreo alla sua composizione in un equilibrio tra essenza ed alterità.
I frammenti dell’immagine iniziale diventano un tutt’uno con le parti aggiunte dove nessuna delle due prevarica sull’altra in un equilibrio dinamico ma immobilizzato nell’attimo.
Queste opere potrebbero dare un’immagine del momento in cui la personalità vergine di ognuno di noi viene travolta dallo scontro violento con il mondo esterno.
Stefan Gunnesch, The shedding (#1), 2020.
Concludo la riflessione su cosa sia l’identità personale ragionando su cosa effettivamente costituisce la contaminazione.
Un tempo gli stimoli culturali provenienti da un territorio restavano circoscritti, non si aveva la libertà e i mezzi per conoscere “oltre la siepe” come se il territorio stesso costituisse una specie di armatura culturale impossibile da togliere.
La conoscenza della diversità non è che un modo per mettere ulteriormente alla prova se stessi, interrogarsi sulla propria identità e di svilupparla nuovamente dilatando i nostri orizzonti di spazio-tempo culturali. La cultura di un luogo può influenzare masse e generazioni intere orientandole verso un sistema evolutivo predeterminato.
Il nostro intero sistema di pensiero, il nostro modo di agire è già studiato a priori perché si sviluppi secondo determinati schemi?
Viviamo in un mondo sovraccarico di informazioni, dove sembra perdersi il principio di autodeterminazione; è difficile filtrare gli input senza inciampare in condizionamenti inconsci ma è anche, senza alcun dubbio, il periodo storico in cui c’è maggiormente possibilità di costruire una propria identità scegliendo di informarci, di condividere il nostro pensiero e autodefinirci, trovare l’equilibrio momentaneo e continuare la ricerca.
Stefan Gunnesch, Silence, 2020.
Copertina: Stefan Gunnesch, Keeping you occupied from my heart (#1), 2019.
– S. Freud, L’io e l’es: e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino, 1986.