La città informale in Brasile ha sviluppato negli anni una sua un’identità visiva, rafforzata dalla sua popolarità nel cinema e dal successo commerciale della musica funk. Ma la diffusione senza precedenti di immagini da questi territori, non sempre gioca a favore degli abitanti della favela e del miglioramento del loro ambiente.
È molto difficile stimare quanta della popolazione di San Paolo del Brasile vive nelle favelas, non esistendo alcun tipo di registro ufficiale attendibile. Qualche anno fa parlando con Gilson Rodriguez, sindaco informale -ovviamente- della favela di Paraisòpolis, è venuto fuori che all’ultimo censimento ufficiale gli inviati del comune si sono limitati a contare le persone che risiedono al piano terra di ogni casa (che qui conta in media 3-4 piani). Non c’è molto da stupirsi quindi che le favelas in brasile abbiano una struttura di governo autonoma e ufficiosa. Abbiamo comunque delle stime che collocano circa il 30%¹ della popolazione di San Paolo nelle favelas. Questo significa che ci sono circa otto milioni di esseri umani esclusi da quasi ogni forma di welfare, organizzati in strutture governative informali e spesso apertamente ostili al governo ufficiale. Anche i simboli architettonici della città formale hanno poco valore fuori dai suoi confini.
La favela, insieme a un suo governo, delle sue leggi e un suo monopolio della violenza ha sviluppato anche una sua iconografia urbana. La forza visiva del paesaggio informale è enorme: in brasile il colore rossiccio dei mattoni, punteggiato da cisterne d’acqua blu, ricopre uniformemente intere colline. Molte favelas si trovano poi in posizioni paesaggistiche estremamente rare e questo ha contribuito ad alimentare il loro fascino, dentro e fuori da esse.
LA NASCITA DI UN’ESTETICA
Le favelas brasiliane si sono guadagnate un posto prima nel cinema con film di grande successo da Cidede de Deus a Tropa de Elite. È però con la musica funk che la favela comincia ad autorappresentarsi e a diffondere un immaginario nato dall’interno. Nato a fine anni 80 nelle favelas di Rio de Janeiro come fuga dall’opprimente clima della dittatura militare, il funk si è via via evoluto come genere sfacciato e spesso umoristico. Non ha nulla a che vedere con James Brown se qualcuno se lo stesse chiedendo, è un genere dance-hip hop basato su ritmi ripetitivi e distorsione della voce – una sorta di trap brasiliana se vogliamo. Una delle produzioni più importanti è stato il video Vai Malandra di Anitta, girato da Terry Richardson e riprodotto 400 milioni di volte su YouTube. Esclusione sociale, maschilismo e razzismo concentrati in un panorama kitsch erotico e violento, il racconto più potente del brasile urbano contemporaneo. Ma il genere è ancora più interessante perché riesce ad appropriarsi di immaginari sessuali non tradizionali mischiandoli all’estetica violenta e materialista della favela, come nel video di Ludmilla intitolato “Rahina da Favela”, che rappresenta una favela matriarcale, estetizzandone molti degli elementi simbolo (dalle sedie di plastica alle bottiglie di guaranà). Il successo di questa identità visiva è dovuto in parte ad un consumo interno. È emerso con un’indagine che ha rivelato che gli abitanti della città informale in percentuale accedono più ad internet di quelli della città formale.
Copertina del singolo Rahina da Favela, Ludmilla, 2020.
I social network hanno un enorme bacino di utenti nelle favelas, il che significa che la produzione di immagini che escono da queste zone è incredibilmente superiore oggi a quella di trent’anni fa, quando l’unico modo per averne era portare un fotografo dentro la favela con la sua attrezzatura (cosa tutt’oggi molto rischiosa). Gran parte della produzione di video mainstream si poggia su un panorama underground che è grazie ai social è fiorito negli ultimi anni soprattutto nelle favelas più famose e centrali come Paraisòpolis a San Paolo. Qui ogni settimana la via principale è invasa da persone provenienti da ogni parte della città per il Baile do 17, il più grande evento funk della comunità informale. Non a caso instagram è un tema molto comune nei testi funk.
Screenshot da Airbnb, 21/10/2018.
Screenshot da InsideAirbnb, 21/10/2018.
CONSEGUENZE SUL MERCATO IMMOBILIARE
Se è innegabilmente un bene che una fetta così grande di società marginalizzata trovi spazio mediatico, è meno scontato capire come questi fenomeni influenzino lo spazio urbano e la vita della favela. Il rischio di una gentrificazione è molto meno paradossale di quanto possa sembrare. È un fenomeno già in atto in diverse aree sia di San Paolo che di Rio de Janeiro, dove su Airbnb potete prendere in affitto una casa vista mare a Vidigal per una settimana pagandola quanto una famiglia della favela la pagherebbe per un anno. Sorpresi che ci sia un’espulsione della fascia popolazione più debole? Sui rooftop improvvisati delle favelas di Rio in estate potete vedere uno stuolo di turisti occidentali abbronzati che fanno foto al tramonto e alle loro caipirinhe. Sicuramente è un business molto più sicuro della droga (che comunque non viene mai abbandonata). Questo fenomeno già raccontato da Robert Norwit² è oggi mappato con precisione da Murray Cox nel suo sito InsideAirbnb³, che offre mappe sempre aggiornate di tutti i listing di Rio de Janeiro. Su San Paolo il fenomeno è meno legato al turismo e più al semplice mercato immobiliare: le favelas entrano in competizione con territori formali offrendo prezzi non molto più bassi.
Federico Godino, Listing di Airbnb a San Paolo (Br), 2018.
Nella figura sopra, ottenuta a partire da un database di Murray Cox, vediamo come le principali favelas di San Paolo abbiano una presenza rilevante su Airbnb. Questo ovviamente influisce sul livello dei prezzi dell’affitto, che nelle favelas più famose (Heliopolis e Paraisòpolis) ha due conseguenze principali: espulsione delle fasce di popolazione più deboli e occupazione di ogni terreno edificabile a discapito dello spazio pubblico. Le speculazioni immobiliari legate alla popolarità dei quartieri informali non sono una novità a San Paolo, il precedente più importante è quello del Beco Do Batman.
Federico Godino, Evoluzione dell’area del Beco do batman dal 2000 al 2020.
Beco significa letteralmente vicolo, si tratta infatti di una piccola sacca di informalità all’interno di Vila Madalena, un quartiere che fino alla fine degli anni Sessanta era costituito da case contadine con pollai e animali al pascolo. In questo vicolo che non segue le regole della griglia urbana negli anni novanta hanno cominciato a moltiplicarsi i murales di artisti che sfruttavano questa condizione appartata per dar sfogo alla propria creatività senza dare troppo nell’occhio. Il fenomeno restò molto di nicchia fino all’avvento di Instagram che porto il quartiere ad un’improvvisa notorietà e cominciò a cambiare i modi in cui gli artisti utilizzano lo spazio a loro disposizione. Con il crescere della celebrità sui social di questo luogo anche il layout delle opere cominciò a cambiare spostandosi sempre più su un modello studiato appositamente per la riproduzione sui social. Oggi le modalità di fruizione delle opere d’arte da parte dei visitatori sono chiaramente incorporate all’interno delle stesse opere: i murales invitano lo spettatore a posizionarcisi davanti ed aggiungono elementi che interagiscono con la sua figura in una sorta di diorama nel quale spesso sono integrati elementi di arredo urbano come panchine o altalene inserite ad hoc. I tag degli artisti ed i riferimenti alle loro pagine Instagram e Facebook sono costantemente in vista.
Screenshot da Instagram, 11/10/2019.
Le conseguenze di questa popolarità non hanno tardato a farsi sentire per il quartiere nel quale si è innescato un meccanismo di gentrificazione molto rapida che ha portato prima all’apertura di gallerie d’arte, bar e locali di musica alla moda e in un secondo momento a forti investimenti immobiliari nel quartiere. Oggi gli isolati intorno al Beco do Batman si sono popolati di condomini di condomini high rise, ma il Beco è rimasto uguale a sé stesso. Questo vicolo è bastato a dare identità e valore immobiliare ad un intero quartiere, ma per alimentare questo meccanismo deve restare immutato e uguale a se stesso.
Oggi fenomeni simili stanno accadendo nella Favela di Paraisòpolis, la più centrale e ricca della città, diventata famosa per il suo paesaggio e per la presenza di diversi artisti. Tra le contromisure adottate dalla comunità di Gilson Rodriguez c’è la creazione di un istituto monetario interno⁴, che salvaguardi gli interessi degli abitanti dagli investimenti della città informale. Oltre l’identità visiva qui si è creata una vera identità sociale, in grado di prevenire i problemi di gentrificazione, espulsione e uso sregolato dello spazio comune che la popolarità delle favelas ha creato in passato.
Copertina: Federico Godino, Beco do batman, 2020.
¹ “SP 2040. – A Cidade Que Queremos.”, São Paulo: SMDU, https://pt.scribd.com/doc/, data di consultazione 22/01/2020.
² R. Neuwirth, Shadow Cities: A Billion Squatters, A New Urban World, New York, Routledge, 2006, pp. 25-67.
³ M. Cox, Get the Data, from Inside Airbnb, data di consultazione 22/01/2019.
⁴ Banco criado em Paraisópolis oferece crédito em dez favelas brasileiras, www.folha.uol.com.br, data di consultazione 15/04/2021.